Mutismo Selettivo 

Il 25 ottobre si è tenuto presso il Liceo Scientifico “Quadri” di Vicenza il convegno regionale sul Mutismo selettivo, organizzato dall’associazione A. I. Mu. Se onlus, l’unica in Italia che affronta il problema e che si pone l’obiettivo di diffondere una cultura sul MS e di fornire un sostegno ai genitori i cui figli presentano tale disturbo.

Hanno partecipato all’incontro la dott.ssa Loredana Pilati, presidente dell’associazione, la dott.ssa Fiorot Eleonora, psicologa-psicoterapeuta di Belluno, e la dott.ssa Tosi Laura, psicologa di Verona, che hanno ampiamente illustrato la diagnosi, le caratteristiche del MS e i possibili trattamenti.

Ad aprire il convegno è stata la dott.ssa Loredana Pilati, madre di una bambina con disturbo MS.

La presidente dell’associazione A. I. Mu. Se. ha sottolineato quanto il Mutismo selettivo sia ancora un disturbo poco conosciuto in Italia e ha descritto la sensazione di smarrimento e di “vuoto” che provano i genitori di un bambino o di un ragazzo quando gli viene formulata la diagnosi di MS; vuoto perché non se ne è mai sentito parlare; vuoto per la carenza informativa nelle strutture sanitarie; vuoto per l’impossibilità di leggere e documentarsi attraverso pubblicazioni in italiano; vuoto perché si ha l’impressione di essere i soli a dover affrontare tutto questo.

In Italia lo studio e l'interesse per il Mutismo Selettivo è scarso, la letteratura clinica in lingua italiana pressoché inesistente e risulta difficile valutare la percentuale di incidenza e prevalenza di questo disturbo, in quanto non esiste uno studio o una raccolta di dati statistici.

La dott.ssa ha sottolineato in tal senso l’obiettivo dell’associazione da lei fondato, che è quello di diffondere quanto più possibile informazioni corrette sul Mutismo selettivo, sensibilizzare l’interesse di psicologi e studiosi affinché i bambini che soffrono di tale disturbo possano avvalersi di un quadro diagnostico perfetto che permetta di intervenire subito sul loro problema, in quanto il fattore “tempo “ gioca un ruolo determinante per un’efficace terapia. Infatti, il MS non è una malattia, ma è un disturbo legato all’ansia che rende bambini sensibilissimi incapaci di parlare in varie situazioni sociali. Una diagnosi precoce e un intervento adeguato permettono di risolvere il problema. Dal Mutismo selettivo si può guarire.

Le dottoresse Tosi Laura ed Eleonora Fiorot hanno continuato poi la discussione illustrando più dettagliatamente la diagnosi e le caratteristiche del Mutismo selettivo.

I primi riferimenti storici relativi al mutismo selettivo risalgono al 1877, quando Kussmaul ne parlò la prima volta descrivendolo come un disturbo per cui le persone non parlano in alcune situazioni pur avendone la capacità. Egli chiamò tale disturbo “aphasia volontaria” con la convinzione che fosse causato da una volontaria decisione di non parlare. In seguito il termine fu sostituito da quello di mutismo elettivo da parte dello studioso Tramer, il quel sosteneva che questo fosse tipico di alcuni bambini che sceglievano di non parlare. Infine nel 1994 il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, DSM-IV,ha sostituito al termine elettivo quello di selettivo, ad indicare il fatto che i bambini non parlano in situazioni “scelte”, “selezionate”. Tale convinzione è poi sostenuta da altre teorie che spostano man mano l’attenzione da un comportamento oppositorio a vissuti d’ansia. Nel DSM-IV TR del 2000 si giunge pertanto ad una ridefinizione eziologica di questo disturbo: al concetto di rifiuto si sostituisce quello di incapacità, abbandonando l’idea primordiale che il sintomo abbia una valenza consapevole e determinata. Oggi, il Mutismo selettivo è classificato come un disturbo d’ansia ( DSM V 2014 ), dato che la maggioranza dei bambini che presentano tale disturbo è fortemente ansiosa.

In sintesi, il Mutismo selettivo è un disturbo che impedisce al bambino di parlare con persone che non appartengono alla cerchia familiare. Il bambino si esprime normalmente a casa, ma diventa “muto” in presenza di altre persone. Non è timidezza o qualche disturbo organico: è un atteggiamento di risposta a un forte stato emotivo legato all’ansia sociale. Sebbene il mutismo selettivo si instauri prima dei 5 anni di età, esso è riconosciutoin modo chiaro quando il bambino inizia lscuoladove ci si aspetta che parli. Questi bambini hanno un grande desiderio di parlare in tutte le situazioni, ma non riescono a farlo.

I criteri diagnostici per individuare un bambino selettivamente muto sono i seguenti:

  • Il bambino non parla in determinati luoghi, come la scuola o altri contesti sociali;
  • Il bambino parla normalmente nelle situazioni in cui si trova a suo agio, come nella propria casa. Sebbene alcuni bambini possano essere muti anche in casa.
  • Il mutismo dura da almeno un mese.
  • Non sono presenti disturbi della comunicazione ( come la balbuzie) o altri disturbi mentali ( come autismo, ritardo mentale, schizofrenia).

Il grado di ansia del bambino in una situazione, determina la sua capacità a comunicare in quel momento. Più sarà rilassato e più riuscirà a comunicare. Meno sarà rilassato e più intuirà l’aspettativa da parte degli altri che lui parli, più sarà difficile per lui comunicare. L’aspettativa genera un aumento dell’ansia. È stata creata una scala di valutazione per definire la capacità di comunicazione del bambino, che può collocare il disturbo in base al livello d’ansia.

 

La scala di comunicazione SM-SCCS si suddivide in 3 livelli:

  • Livello 0 assenza di comunicazione;
  • Livello 1 comunicazione non verbale che si suddivide in:
  • 1.A = risponde indicando con il dito o annuendo con la testa
  • 1.B = prende l’iniziativa, ad esempio picchiettando sulla spalla di qualcuno, oppure tirandogli la mano per poter attirare su di sé l’attenzione.
  • Livello2 comunicazione verbale
  • 2.A = reagisce producendo dei suoni, come ad esempio sussurri, versi degli animali, mugugni di parole.
  • 2.B = inizia lo scambio attirando l’attenzione di un’altra persona: comunicazione verbale e attiva.

Come trattare il mutismo selettivo: per prima cosa bisogna tenere conto delle caratteristiche del bambino. I genitori e gli insegnanti lo conoscono dal punto di vista comportamentale, gli specialisti /psicologi, ne conoscono il funzionamento neuropsicologico. Per aiutare il bambino a 360 gradi, occorre che docenti, famiglia e psicologici collaborino e lavorino insieme.

  

La dottoressa Tosi ha poi illustrato dettagliatamente il trattamento del Mutismo secondo una prospettivasistemico-relazionale.

Secondo la psicologa, il mutismo è un sintomo con cui il bambino vuol dire qualcosa, in particolare ha un significato che riconduce al contesto familiare. L’approccio al problema, pertanto, è centrato sull’analisi della persona nel contesto familiare. Il terapeuta osserva direttamente il comportamento familiare, entra nella famiglia con la sua esperienza e ne responsabilizza ogni membro, senza accusare nessuno. La famiglia è considerata un sistema i cui elementi interagiscono fra di loro; ha qualcosa di peculiare, ha delle regole, è dotata di una storia che riguarda più generazioni ed è continuamente esposta al cambiamento. Per conoscere il singolo bisogna conoscere la storia della sua famiglia, risalendo anche ai nonni (prospettiva trigenerazionale). Infatti, tutto ciò che non è stato risolto dalle generazioni precedenti si riproporrà in quelle successive e il sintomo, nel nostro caso il mutismo, altro non è che l’espressione ( o la denuncia ) della difficoltà della famiglia davanti al cambiamento. Il terapeuta deve lavorare con la famiglia e per la famiglia per favorire la trasformazione del sistema, per renderla cioè più flessibile al cambiamento.

Secondo Andolfi ci sono dieci punti chiave per trattare il disturbo:

1. problema familiare: la malattia del bambino è un problema familiare;

2. le risorse si trovano all’interno del problema del bambino;

3. il bambino guida il terapeuta nel mondo relazionale della famiglia;

4. i genitori e i nonni sono i principali elementi per la diagnosi;

5. tutte le malattie e i disturbi infantili hanno un incredibile potenziale di auto recupero;

6. la diagnosi della malattia infantile deve essere flessibile e dinamica;

7. per la diagnosi della malattia si deve considerare sia la componente biologica sia quella relazionale;

8. il concetto di disturbo cronico è un paradosso evolutivo;

9. la malattia infantile non può essere curata senza il coinvolgimento della famiglia:

10. la famiglia è una risorsa ed è da considerare secondo una prospettiva trigenerazionale.

IN sintesi, per la psicologa Tosi, per curare il bambino bisogna fare un intervento non per la famiglia o sulla famiglia, ma CON la famiglia: è “lo stare con “ che permette alla famiglia di superare il blocco emotivo. La vera cura è la relazione.

La dottoressa Fiorot, ha infine illustrato il trattamento del Mutismo secondo una prospettivacognitivo-comportamentale.

Tale approccio si fonda sull’idea che pensiero, emozione e comportamento siano tre aspetti fondamentali del funzionamento dell’individuo e si basa sulle seguenti tecniche d’intervento:

  • Osservazione del comportamento: linea di base per sapere cosa il bambino sappia fare ( e rinforzarlo) e cosa non sia in grado di fare. E’ il momento più importante per la prospettiva cognitivo-comportamentale : solo partendo da un’osservazione dettagliata del comportamento si può pensare di programmare un intervento adeguato.
  • Alfabetizzazione emotiva: è un processo di apprendimento che porta il bambino ad autoregolare le proprie emozioni.
  • Psicoeducazione all’ansia: si cerca in maniera semplice di far capire ai bambini cosa sia l’ansia, facendogliela provare e spiegandogli di pari passo i sintomi che in quella particolare situazione il bimbo sta provando.
  • Esposizione: l’ansia è di certo una situazione sgradevole, ma se non si prova non la si potrà capire. Si espone pertanto il bambino a stimoli ansiosi ,in modo tale da abituarlo a questa situazione di stress , spiegandogli cosa sia.
  • Rinforzo positivo: conseguenza gratificante a un determinato comportamento. Il rinforzo aumenta la frequenza delle prove e la probabilità che il comportamento si ripeta. Ci sono diversi tipi di rinforzi: 1 r. socio affettivo ( ad esempio il bacio o l’abbraccio); 2 r. tangibile ( ad es. la caramella); 3 r. simbolico ( ad es. gettoni ); 4 r. dinamico ( svolgere attività piacevole o avere un privilegio ( ad es. sedersi dietro la cattedra al posto dell’insegnante).
  • Lo shaping: Si tratta di una procedura che viene utilizzata per sviluppare un comportamento che non fà parte del repertorio di un individuo. Si inizia rinforzando una risposta che compare raramente, ma che somiglia, almeno lontanamente, alla risposta finale desiderata.
  • Quando questa risposta iniziale compare con una frequenza elevata si smette di rinforzarla, in modo che si estingua, e si inizia a rinforzare parallelamente un'approssimazione lievemente più vicina alla risposta finale desiderata, fino a che il soggetto produrrà l’azione desiderata. In sintesi, lo shaping riguarda lo sviluppo di un nuovo comportamento attraverso il rinforzo di piccole approssimazioni progressive e l'estinzione di quelle precedenti. Nel caso del mutismo selettivo, si rinforza ogni approssimazione all’abilità comunicativa.
  • Per poter ottenere dei miglioramenti i primi obiettivi da raggiungere sono:
  • Far capire il problema al bambino
  • Far accettare il problema
  • Valutarlo insieme
  • Bisogna creare una scala per valutare il grado d’ansia che crea una situazione sociale.

La valutazione va da 3 a 0. 3 è la cosa per lui più spaventosa e difficile, man mano che si scende 2,1,0, il compito è sempre più facile.

Una strategia utile è quella di non focalizzare l’attenzione sulla parola “parlare” così si riduce l’aspettativa del bambino, anche perché egli dà un valore negativo a questo termine utilizzato tantissimo e che gli provoca ansia.

Conclusioni:

Il bambino con mutismo selettivo, di base ansioso, ha bisogno di più tempo per sentirsi a proprio agio e adattarsi alla nuova situazione. Quindi, qualsiasi cosa deve fare, si deve preparare con anticipo.

Bisogna far in modo di ridurre le aspettative perché il solo dire “buon giorno”, “ciao” richiede sforzo e tempo. Il bambino con M.S. non si comporta così perché vuole attirare l’attenzione, o per avere il controllo sui familiari, ma attraverso il mutismo controlla la situazione. Non lo fa per vendicarsi ma è in uno stato d’ansia e ha difficoltà a gestire le emozioni. Per facilitare il bambino bisogna assicurare: ordine, routine e coerenza. Per aiutare i bambini affetti da questa patologia si devono definire degli obiettivi, alcuni stabiliti con i bambini stessi, altri, invece, non detti: cioè decisi dai genitori, insegnanti, terapeuta. Sono strategie con lo scopo di aiutarlo a progredire.

È consigliabile definire gli obiettivi “giochi”: in questo modo, associando il gioco al divertimento, i bambini non si sentono minacciati da questo approccio. Gli obiettivi concordati con il bambino stabiliscono la sequenza logica delle tappe nel trattamento. I bambini si sentono più sicuri “controllando” le procedure terapeutiche.

Molto importante è il ricorso ai rinforzi: premiando il bambino, stimolano il raggiungimento degli obiettivi attraverso una leggera sollecitazione. Per alcuni bambini un adesivo o un caramella è sufficiente a compiacerli. Però può essere più efficace anche dare un privilegio: ogni 510 adesivi raccolti , il bambino riceve un privilegio o un premio, ad esempio, andare a dormire più tardi o invitare un amico a casa ecc. Il rinforzo positivo è un metodo che permette al bambino di sentirsi bene, di ricevere un riconoscimento per un lavoro effettuato, ed è un modo per incoraggiarlo a raggiungere i suoi obiettivi. Un altro aiuto può arrivare dall’intermediario verbale che può essere: una persona ( un compagno di classe), un peluche, un pupazzo, che può aiutare a trasferire la parola in un certo ambiente.

I bambini che hanno istaurato una relazione serena con una o più coetanei, il sussurrare o il parlare con loro può comparire spontaneamente, dopo un certo periodo. Questo passaggio permette l’estendersi della verbalizzazione anche ad altri.

Anche a scuola si possono adottare della strategie per aiutare a creare una buona relazione con la maestra. Per esempio permettere alla mamma di trascorrere del tempo nella classe con il figlio e la maestra prima dell’arrivo dei bambini; durante questi momenti non è necessario che il bambino interagisca con la maestra, ma può stare con la mamma attribuendo così un valore meno ansiogeno a quel luogo. Così da disimparare dei comportamenti (non parlare a scuola).

Indicazioni per creare un ambiente sereno a scuola.

A scuola bisogna creare un ambiente il più sereno possibile, in modo tale da abbassare i livelli d’ansia dell’allievo. Conviene:

  • Non forzare il bambino a parlare
  • Evitare le domande dirette
  • Cercare di responsabilizzare il bambino facendogli fare piccoli compiti
  • Far capire agli altri compagni che il bambino non si rifiuta di parlare, ma è incapace di farlo
  • Far lavorare il bambino in piccoli gruppi.
  • E’ meglio evitare i turni perché creano ansia: conviene ad esempio non fare l’appello seguendo l’ordine alfabetico, ma farlo a caso.
  • Il bambino non ha bisogno di supporto a livello didattico, ma di una relazione privilegiata; ad esempio, sarebbe opportuno concordare con l’allievo ciò che si ha intenzione di fare in classe, in modo tale che non si senta “incastrato”.
  • L’allievo dovrebbe stare seduto non da solo, ma dovrebbe condividere il banco con un bambino con cui già si relaziona.
  • L’allievo non dovrebbe avere l’idea di essere al centro dell’attenzione, pertanto, è auspicabile che lui stia seduto in prima fila, ma non accanto o di fronte alla cattedra.

Ogni caso è a sé e solo analizzando il comportamento dell’allievo è possibile trovare le strategie giuste non per farlo parlare ( la soluzione non è così immediata), ma per ottenere da lui un cenno che si approssimi alla parolaIl lavoro con questi bambini è lungo e c’è bisogno di collaborazione da parte di tutti, ma non dimentichiamo che sono bambini che soffrono e con loro anche le famiglie. Tutti insieme però possiamo aiutare questi bambini a liberarsi dalla paura, e a farsi una vita normale.

 

Prof.ssa Ivana Lo Brutto